L’approfondimento del Direttore: “Ma la mia generazione ha perso?”

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L’approfondimento del Direttore: “Ma la mia generazione ha perso?”

Ci sono giorni in cui la malinconia ti prende e non ti lascia più. La malinconia non arriva a caso, ma è un sentimento che coglie riflettendo su una serie di avvenimenti diversissimi e slegati tra loro, che sono il segno di un tempo maligno e beffardo. I nuovi “valori” disegnati, rilegati e confezionati da messaggi a tambur battente riversati sui social e sui canali TV, sono tali e tanti da indebolire anche le più forti convinzioni.

Chi ha attraversato gli anni 70/80 dovrebbe rinnegare un percorso fatto di sogni e speranze di un mondo migliore? Abdicare a favore della realtà opulenta di oggi che riesce a modificare il DNA di due gemelline, a lanciare sul mercato la bambola sessuale Harmony, ad entusiasmarsi per Sfera Ebbasta? Io questa la chiamo decadenza, un modo per descrivere la perdita degli obiettivi nella vita.

La malinconia è anche la consapevolezza che la degenerazione è talmente grande da non essere nemmeno percepita. “La mia generazione ha perso”, cantava Giorgio Gaber all’inizio degli anni Duemila. Era la presa d’atto della sconfitta di chi, comunque, si era battuto. La successiva generazione, la mia, la prima ad essere cresciuta con idee nuove, quelle del ’77 (la libertà, vietato vietare, tutto è dovuto), non ha neppure perso. Ha dato forfait, fuori gioco per rinuncia. I suoi figli possono morire per un concerto di Sfera Ebbasta, nella notte illuminata dalle luci psichedeliche tra smartphone, gridolini, pasticche e molti bicchieri, dopo aver cliccato “mi piace” e scattato fotografie di se stessi: il vero l’esercito del selfie.

A Corinaldo, il paese di Santa Maria Goretti, erano accorsi in piena notte per ascoltare un tizio i cui testi sono impronunciabili, di una volgarità figlia di questo tempo. Un furbetto che bene si inserisce tra tecnici e scienziati che stanno ri-generando il nostro cervello attraverso il linguaggio politicamente corretto, il dilagare del pensiero strumentale, il divieto del giudizio critico. Coloro che hanno ridotto il ciclo della vita a una formula matematica in grado di catalogare e prevedere tutto, lavorando alacremente per renderci burattini, schiavi felici delle loro catene.

Viviamo una vita semplice e comoda, racchiusa in una mano che avvolge lo smartphone. Online si fa tutto: pagare il biglietto di un concerto, risolvere i compiti del liceo, consultare il conto corrente. Svolgiamo un lavoro e disattiviamo il cervello. Basta sforzi, la fatica di ricordare, studiare, ragionare. I più astuti diventano Sfera Ebbasta. I rapper fanno affari, se ne vantano, diffondono la dipendenza da sostanze chimiche e alcol. Vengono applauditi come modelli da imitare dai nostri figli, la terza generazione, priva di modelli positivi e alternative. Convinti che la libertà sia andare ai concerti, bere, gozzovigliare, esaurire le esperienze già da adolescenti, sballare e consumare. I loro padri e madri, noi, non sono né diversi né migliori. I “vecchi” valori sono stati polverizzati. Il certificato di esistenza in vita è diventato il selfie, ossia “io al centro del tutto”, in cui troneggia la mia persona, atomo speciale tra miliardi di identici.

Ha vinto la scienza nella forma della tecnica applicata, disumanizzandoci. L’economia e la finanza sono i padroni. Distrutta la semplicità e la delicatezza della vita, tutta la bellezza del mondo. Sotto la maschera di una civilizzazione, si rattristano le menti degli uomini e si induriscono i cuori. Si vive e si muore da soli. Non si ama la patria né si rispetta la famiglia. Se la mia generazione ha perso, è perché ha smarrito gli argomenti, i principi, le proposte alternative. Ha vinto lo Stato, che però ha perso le menti dei suoi uomini migliori. Poco importa se il risultato è la riduzione dell’uomo ad animale zootecnico, a plebe desiderante dei nuovi ritrovati dell’industria, ad essere ammaestrato ad amare ogni cambiamento e novità, a detestare ogni vincolo o prescrizione che allontani la soddisfazione immediata degli impulsi. Che importa se l’altro diventa oggetto? Possiamo andare oltre e sostituirlo con la macchina, il robot, la tecnologia in generale.

Di fronte a uno scenario apocalittico diventato realtà, che nessuno di noi avrebbe potuto immaginare, quale futuro ci attende? E torna alla mente: “ma la mia generazione ha perso?”. Io ho sognato un mondo migliore, ho vissuto un’illusione, ho combattuto strenuamente. Avrò anche perso, ma ho conosciuto l’amicizia, il saper vivere insieme, la solidarietà, l’amore, il saper apprezzare un sorriso. Ai miei tempi non si viveva da soli e non si moriva da soli. E allora non avrò rimpianti, non avrò nulla di cui pentirmi, da rinnegare. Continuerò a camminare nella natura, attraversando boschi, scalando montagne. Saprò contemplare il silenzio, amare il dolce cantare degli uccelli, ascoltare il fruscio del vento. Guarderò lontano sperando che una nuova generazione si affacci all’orizzonte e sappia dire “basta”.

Maurizio Aluffi – Direttore di Confartigianato Imprese Rieti

2019-02-23T11:06:27+01:0023 Febbraio 2019|

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