di Maurizio Aluffi – Direttore di Confartigianato Imprese Rieti
In tempo di elezioni gli spazi pubblicitari sono pieni di volti con espressioni variegate, con slogan più o meno stantii e che spesso ingenerano messaggi poco chiari. Non è più il tempo di volti noti, ma sempre più illustri sconosciuti senza storia, prestati alla “politica” per qualche giorno, senza sapere nemmeno il perché.
Si va verso le elezioni amministrative che nella provincia di Rieti vedranno coinvolti gli elettori di Rieti, Cittaducale, Antrodoco, Pescorocchiano, Casaprota, Salisano e Nespolo. L’ appuntamento è per il 12 giugno 2022. Più di un terzo degli elettori dell’intera provincia si recherà alle urne. Nel solo comune di Rieti ci sono 3 candidati sindaci e circa 600 aspiranti consiglieri sparpagliati in una ventina di liste civiche o di partito.
Sembrerebbe il ritorno alla politica, ma in realtà non è così. Sono lontani gli anni in cui occorreva fare una lunga trafila che, oltre alla “fede politica”, prevedeva impegno, capacità, professionalità e spirito di appartenenza. Oggi ogni candidato è un numero.
Non voglio ricostruire sincronicamente gli aspetti istituzionali, politici ed economici del processo che ha portato all’attuale situazione del Paese, ci vorrebbe troppo tempo e non è nello spirito di questo editoriale. Però una riflessione sulla rapida ascesa economica dell’Italia per cogliere i fattori del suo mancato consolidamento e del suo lento e inesorabile declino, è necessaria. Le responsabilità di una classe dirigente rimasta troppo arretrata per guidare un Paese industriale, il sovrapporsi dei partiti all’attività dell’esecutivo e del Parlamento, un confuso primato dell’economia sulla politica, sono tra le cause principali di un’involuzione che mette a repentaglio la stabilità della democrazia. Quando il 50% degli aventi diritto non esercita più il diritto di voto c’è un segnale chiaro di distacco dalla vita istituzionale e gli eletti diventano élite di sé stessi più che rappresentanti del popolo.
Il fatto che la politica superando sconquassi, sfiducia, delusioni, falsità, tradimenti e millanterie, riemerga sempre dal fango in cui viene a trovarsi, la dice lunga sulla sua capacità di succedere a sé stessa. Un tempo i cortigiani applaudivano i giullari per compiacere i propri padroni, ma complottavano in segreto per sottrarsi al gioco della sottomissione. Oggi si sceglie in genere una via più breve e indolore poiché la democrazia offre nuove opportunità: la tavola è ben imbandita e conviene accordarsi per tempo, si parte raccogliendo briciole ma se va bene si arriva al dessert. Tutti volevano il maggioritario e ora chiedono il proporzionale. Arriveremo alla polverizzazione parlamentare pur di conservare anche un seggio sicuro. Si sbagliava Grillo quando inveiva contro i politici morti, fantasmi inconsistenti e sonnambuli che vagano nel vuoto. Alla fine a morire soffocato è toccato a lui e i suoi stessi compagni di viaggio sono i carnefici. Dal rifiuto a ogni confronto all’esser parte di due governi con alleati alternativi tra loro! Amici-nemici, ma sempre al comando.
Chi perde non sono i movimenti o i partiti, ma la parte nobile della politica. Non sono i politici a dissolversi, ma è la politica stessa che se ne va. Sparito il copione, restano i teatranti e si recita a soggetto. Le nobili parole rimangono pace, democrazia, uguaglianza, libertà, giustizia, ma servono solo per imbrogliare la gente, per abbindolare con proclami elettorali, promesse irrealizzabili, chimere, utopie.
Eppure basterebbe guardare i curricola di certi candidati, le loro carriere, per capire che c’è gente che blatera senza aver mai lavorato un solo giorno nella vita. Il problema vero è che da quando la politica ha cessato di essere un servizio è diventata un mestiere e quindi gestita da mestieranti, persone disposte a tutto pur di cavalcare l’onda del successo, pur di privilegiare il proprio personale tornaconto. Il panorama è desolante e coinvolge l’intero sistema, non un problema locale quindi, ma regionale e nazionale. Il tam tam mediatico amplifica gli eventi, abitua al peggio, suscita rancori, alza il tono dell’odio. Troppi fatti personali, troppi miscugli di potere. Eppure c’è chi parteggia, si schiera, prova a giustificare l’impossibile.
La decadenza, ma si potrebbe anche dire la fine della politica, non è più un fatto che riguarda le sfere alte del potere, ma un fenomeno che si materializza in tutta la sua desolante tristezza. Si naviga a vista, tra un bonus e un prestito, senza una meta o un progetto, verso il nulla.
Per me che ho vissuto da protagonista un importante momento storico, gli anni ‘70-‘80, rimane la nostalgia delle infinte discussioni, delle riunioni, delle contraddizioni, ma anche di una grande voglia di cambiare, di essere protagonisti di una nuova era. L’impegno quotidiano, manifestazioni oceaniche. E poi riunioni di partito, delle segreterie, dei direttivi, delle sezioni… il territorio come luogo privilegiato del fare politica, l’impegno sociale. Purtroppo gli anni ‘70 vengono ricordati solo per il terrorismo o per fatti luttuosi, ma pochi ricordano che in dieci anni sono nate più di 100.000 imprese, tante quante non ne sono nate dal dopoguerra in poi. La “fabbrica diffusa”, i distretti industriali, i corpi intermedi, lo sviluppo e la crescita degli organismi di rappresentanza, sono queste le realtà che hanno cambiato l’Italia.
Ora l’intento è quello di cancellare una realtà storica per avviare una nuova “restaurazione”, un altro colpo alla democrazia, una ferita mortale per i territori. Ci sarà ancora qualcuno che avrà il coraggio di dire basta? Un partito, un movimento, una qualsiasi aggregazione che sappia rimettere al centro la politica, l’Italia, i territori? Nella desolazione non bisogna mai spegnere una fioca luce di speranza… Chissà!